L'altra mattina ho scritto a una mia carissima amica: "l'isola dei famosi sta per finire, mi mancherà tanto. Anche se adesso non mi piace più perché assomiglia troppo alla realtà".
Lei mi ha risposto con una domanda bellissima, come fa sempre. Mi ha chiesto a quale dei partecipanti mi sentissi più vicino come moto- sentito, non a chi avrei voluto assomigliare.
Le ho risposto la verità, che a conti fatti non mi vedo in nessuno di loro, ma in un mostruoso misto pisto di tutti.
L'isola è un inesauribile fonte di dinamiche, una continua lezione di sociologia da cui ricavare spunti su spunti.
Io me la godo la mattina alle 06.15 mentre faccio colazione con 300ml di albumi, un uovo sodo e a giorni alterni 50 grammi di carboidrati ( fette biscottate in genere).
Gli spettatori sono pericolosi: guardano e ragionano (poco) sempre nell'ottica del gioco, sentendosi facilmente traditi e delusi da comportamenti spesso umani e poco eroici, che invece adoriamo vedere nella televisione per sentirci rassicurati.
Mentre credo che i partecipanti siano stremati in un'altalena di sensazioni tra finzione- gioco- realtà- telecamere che ne mette in discussione e crisi anche le certezze più radicate, figlie della pancia piena.
La cosa che più mi spaventa e non riesco a guardare, sono le tremende abbuffate in tre minuti.
Quelle mi fanno stare male, per come vivo e concepisco il cibo e per come lo temo.
Sono sincero, non credo che sull'isola saprei resistere più di un pomeriggio intero.
La mia alimentazione è fatta si di sacrifici grandi, ma nei gusti nei sapori nel piacere. Ma non certo nelle quantità visto che più o meno mangio un chilogrammo di pollo al giorno distibuito su tre pasti e tre spuntini.
Non ho dubbi che modelle, vallette o figure affini siano da un punto di vista fisico le più preparate in assoluto a gestire condizioni così estreme e di privazione.
La fame cambia le persone, le trasforma.
In condizioni normali io sono sempre dalla parte dei più deboli, dei diversi, degli emarginati non perché sia un paladino della giustizia ma semplicemente perché mi sento uno di loro.
Più c'è accanimento, più mi schiero.
Se penso all'isola come a un gioco, mi verrebbe da farmi in quattro per sostenere persone come ad esempio Malgioglio.
Ma la verità cruda è che se fossi naufrago su un'isola probabilmente dopo due giorni lo ammazzerei per mangiarlo.
Si accidenti... la fame cambia le persone fino alla radice.Ne mette a nudo la bestialità.
In questi giorni purtroppo è venuto a mancare Tonino Guerra.
Ho letto per caso (quanto amo il caso) una frase che mi ha colpito come un pugno allo stomaco, in cui diceva di avere avuto grandi momenti di contentezza nella sua vita, ma uno che ricordava con particolare gioa era quando dopo essere stato liberato da un campo di concentramento in Germania, vide per la prima volta una farfalla senza avere desiderio di mangiarla.
Da quando ero bambino il cibo è sempre stato un problema e mai un piacere, ricordo ancora con stanchezza le innumerevoli volte che mia mamma mi chiedeva cosa avrei gradito per il pranzo o la cena, disposta a tutto per accontentarmi e vedermi mangiare.
Anche crescendo le cose non migliorarono molto, nella mia adolescenza si costruiva il me stesso più estremo, alienato e fuori gioco e il pasto e l'invito al pasto non erano che altre occasioni di discussione e frustrazione.
Non so quante "feste comandate" tra parenti ho trascorso in camera mia, ma a quell'età è facile, gli adulti hanno poca memoria e ti archiviano con una comoda e in parte vera, etichetta di stronzo.
I miei genitori hanno sempre relazionato la salute e lo stare bene, con il buon appetito e la pancia piena.
Un figlio che mangia di lena non ha problemi!
Non ho davvero ragione di biasimarli. Loro sono nati e cresciuti in famiglie poverissime, dove il cibo è mancato spesso fisicamente e in modo traumatico. Istintivamente hanno associato l'amore con la disponibilità di pappa di ogni sorta, in qualunque cassetto, ad ogni ora, per le esigenze più diverse.
Non era mai una questione di equilibrio, di colori, di varietà di elementi, ma di presenza.
Mio papà viveva in campagna in una di quelle famiglie allargate di fratelli e moglie e cugini.
Ben due volte fu ricoverato per denutrizione in sanatorio e quando racconta che andavano a rubare il "pastone" di scarti fatto per ingrassare i maiali poco prima di ucciderli, lo fa con un sorriso vero che non mi so spiegare mentre a me viene un gran magone.
Mia mamma invece, che aveva quattro fratelli di cui era la più piccola, mi ha raccontato tante volte di come mia nonna non avendo nulla da mettere in tavola spesso facesse finta di dimenticarsi che era ora di pranzo.
Per lei è stato qualcosa di doloroso che ha lasciato segni di cui io ho avuto coscienza solo molti anni dopo.
Oggi i mei occhi, le cose che ho imparato, mi mostrano un passato con cui misurarmi onestamente e se non posso salvare chi ho tanto amato, non voglio comunque limitarmi a piangere e dispiacermi, ma fare tutto quello che posso per aiutare nel mio piccolo le persone che incontro. Non perdendo mai l'occasione per gridare a gran voce o con un filo soltanto quando serve. Allarmando in particolare i genitori di queste nuove generazioni di bambini all'ingrasso. Perché purtroppo pare essere il solo modo di ricevere un minimo d'attenzione tra molto molto troppo stupore.
Nel mio faticoso viaggio a ritroso rivedo mia nonna nel cortile con altre signore, in anni migliori di piccole pensioni che però permettono la bottega del paese.
Donne dai mariti assenti, dai figli ormai grandi, dall'aria di chi si sente che il peggio è passato.
Io piccolissimo tra le gambe di un tavolo allestito alla meglio per una merenda, le voci le chiacchiere gli scherzi.
Un clima di festa tra salame uova pastarelle e vino. Un atto di bulimia collettivo e protetto ripetuto all'infinito e bardato da un bel fiocco rosso.
Poi mia mamma, l'amore mio...
L'alzarsi silenzioso a testa bassa dal tavolo.
Io che le corro dietro, la porta del bagno che si chiude con la chiave.
Il rumore soffocato per quel che è possibile.
- "Mamma stai bene?"
- "Si amore, ma vai di là".
Abbastanza grande da sapere che non andava bene, troppo piccolo per sapere cosa, troppo sveglio per non soffrirne e non dirne per evitare un senso di colpa ancora più forte.
Il tempo e l'età hanno fatto bene a entrambi, tra alti e bassi, tra diete e volontà risultati buoni e meno buoni tengo stretta mia madre e la osservo come non ho mai smesso di fare.
Quanto a me sono grato allo sport, all'adolescente off che non si piaceva e per sopportarsi di più ha deciso di andare un giorno in palestra... un giorno di questi... diciannove anni fa.
Non è un lieto fine, non è una favola con il suo bel vissero tutti felici e contenti.
Il mio modo di vivere e pensare e mangiare resta particolare e non è detto che sia in assoluto quello sano e giusto e perfetto.
Ma tengo gli occhi bene aperti, continuo a conoscere me stesso le mie possibilità e i limiti che di volta in volta sposto più in là.
Godo di tutto il bene degli sgarri, delle nuove cose che imparo, degli errori che commetto.
E se c'è una cosa soltanto che vorrei davvero rimanesse da questo mio lungo e temo dispersivo racconto, è l'invito ad ascoltare il nostro corpo che ci parla e parla sincero, per poi riuscire a parlare con chi ci ama e ci vuole aiutare.
Grazie.
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