lunedì 3 dicembre 2012

LETTERA



Scusami,
ci casco ancora ma scusami, per tutte quelle volte che ti ho chiesto scusa anche quando la colpa era più tua.
Ora ci riesco, ora lo so…
Ho sempre avuto così paura di perderti, ogni singolo giorno di perderti, che tutti quei SI sono finiti per farti disprezzo come i più violenti dei NO.
Ho sempre avuto così paura di perderti che alla fine ti ho perso e tu mi hai disperso, piano piano.
Tra gli avanzi di tempo, bocconi piccoli di tempo- come ne avessimo tanto da potercelo permettere.
Se, se non odiassi i se, penserei a tutte le volte che non ti ho aiutato a crescere e alle volte che parlavo mentre avrei dovuto tacere, o a quelle in cui avrei potuto parlare e ho preferito abbracciarti.
Abbracciarti mentre tu restavi ferma, sempre più immobile sempre più stretta in quello che credevo fosse giusto.
Che l’amore mio bastasse…
Ma novanta più dieci non fa mica cento, e cinquanta più cinquanta fa un milione.
L’amore mio non bastava, e non basta nemmeno a salvare me stesso.
C’è tutto un dover fare, un dover vivere comunque. Un gioco brutto e noioso come quelli di Natale, quando fuori è freddo, quando i vetri si appannano e scendono gocce grosse, lacrime da invidiare.
C’è così tanto da dover pensare e affrontare, quando la voglia sarebbe sparire, annegare in un mare di nulla, lievitare leggeri altrove.
Non c’è più quel tempo che pareva abbondasse, non c’è che fretta e necessità di una sofferenza veloce da pausa pranzo, nel tratto di strada tra casa e lavoro e casa e nonni.
Una pila infinita di carte e burocrazia dove non si riesce a infilare nemmeno un sottile spavento, una silenziosa profonda paura, una lacerante solitudine in acconto.
Quanti fallimenti ho sostenuto, uno dopo l’altro dopo l’altro dopo l’altro.
Eppure nessuno pare avvicinarsi nemmeno lontanamente a questo e alle sue conseguenze.
Credevo di avere più dignità che sogni: il resto magnifico di prezzi cari pagati in sangue contante.
Ma qui oggi mi ritrovo con le tasche vuote, un tempo scaduto, dell’amore incapace e un raggio di sole intenso che mi cammina incontro e più sorride più mi trafigge.

martedì 30 ottobre 2012

CORRISPONDENZA D'AMOROSI SENSI


NON SO QUANTO TEMPO FA HO SCRITTO QUESTE PAROLE, MA RILEGGENDOLE OGGI PER UNO DI QUEI CURIOSI "CASI" DELLA VITA, HO DESIDERATO POSARLO QUI.


Ognuno di noi porta con sé un intimo dolore per qualcuno che non c'è più.
La sofferenza silenziosa che ci fa sentire soli, la difficoltà di condividere perché quel magone è così grande che nessuno può capire.
Eppure appartiene a ognuno di noi, e come poche cose al mondo, ci unisce e ci rende uguali.
Che siano gli amati nonni, l'adorato fratello, la mamma che ci ha lasciato davvero troppo presto, la zia speciale, l'amico di sempre, il marito imperfetto ma perfetto, il papà meraviglioso o il figlio perduto innaturalmente, ognuno di noi vive ogni giorno con un vuoto, il formicolio di una mutilazione alla quale anche la tecnologia si arrende.
Non esiste il sollievo- non cerchiamo alcun sollievo.
Provo a guardare il dolore e capirlo, vorrei offrirgli offrirmi un senso.

Il dolore non è altro che amore in una delle sue espressioni più vere e intense.

Il dolore annulla tutte le differenze, e non c'è ricco o povero, non esistono nelle lacrime i tratti di nessuna razza.
Il dolore è la cosa più universale che esista e per quanto le religioni se le giochino tutte per tirare l'acqua al proprio mulino non possono spezzare un legame così forte che ci lega tutti quanti.

In questi giorni andrà in scena il grande spettacolo, la corsa pazza al fiore fresco, trucco e parrucco della lapide trascurata.
"Vasche" su e giù per cimiteri, pranzo al sacco per i più accaniti, comitati d'accoglienza improvvisati all'ingresso.
Ma per la prima volta nella mia vita metto da parte sciocchi polemici discorsi, e mi accorgo che tutto questo ci sta: per qualche giorno in cui il dolore si concede un filo di leggerezza ed esce dal suo torbido silenzio.
Possiamo capire e accettare, anche senza condividere, le buone ragioni degli altri.

Forse ero troppo coinvolto e ho scritto male e in modo confuso: questo era il mio abbraccio aperto a tutte le creature del mondo che come me hanno un vuoto che nessuno colmerà, ma che non deve renderci soli.
Le persone che ci hanno amato non credo affatto che vogliano vederci soltanto piangere al loro ricordo. Non lo credo affatto.

martedì 16 ottobre 2012

PICCOLI PENSIERI SILENZIOSI HANNO IL SOPRAVVENTO

Eccoli.
Eccoli i due tre giorni l'anno in cui la voce mi abbandona.
Attesi ma imprevedibili.
Se fossi un supereroe non avrei alcun dubbio sul mio punto debole. La gola.
Però, che straordinario uomo comune che sono.
Non so volare, non so essere invisibile o veloce, ma ho la sfacciataggine di possedere un clamoroso tallone d'achille.
Nel tempo ho imparato ad accogliere questi giorni senza voce; l'occasione di ascoltare quello che spesso le parole coprono con il proprio rumore.
Piccoli pensieri silenziosi hanno il sopravvento.

Da poco abbiamo finito la copertura di un tetto.
Un novanta metriquadri circa, sostituzione dei legni, travi, nuovo assito completo accostato, abbaino embici palo antenna, guaina ardesiata e posa dei coppi fissandoli uno ad uno aggiungendone un buon 20% di nuovi in sostituzione di quelli rotti.
In quattro abbiamo impiegato tre giorni e mezzo, compreso il ponteggio e i ripari.
Tra manodopera e materiali più o meno undicimila euro (+ iva ci mancherebbe).
La cosa che mi fa impressione è che per i vari permessi e piano di sicurezza e altre mille fotocopie insensate, i proprietari hanno speso tremilacinquecento euro (+ iva ci mancherebbe) e ci è voluto un mese e mezzo di attesa.
Il POS ( piano operativo di sicurezza) è un documento buffo. Un po' come se scrivere su un foglio i pericoli in cui si puo' incorrere potesse in qualche modo prevenirli e "salvarci".
Il mio buon senso e la professionalità no, quelli non hanno valore.
Quello che mi ha colpito maggiormente e che mi fa anche piuttosto schifo è lo spreco di carta, soldi e tempo.
Tutte cose che in questi momenti terribili dovrebbero essere tutelati e ottimizzati.
Per qualunque impresa partecipi a un lavoro come questo sono richiesti alcuni documenti.
Fotocopia della carta d'identità.
Iscrizione alla camera di commercio.
Il DURC documento unico di regolarità contributiva.
In sostanza se paghi le tasse puoi e sottolineo puoi, lavorare per vivere e pagarne altre.
Altrimenti non sei in regola, nessuno può farti lavorare nemmeno se vuole perché rischia tantissimo!
Tanto basterebbe a disgustarmi se non ci fosse di peggio.
Nonostante le fotocopie siano raccolte in una delle mille cartelle, c'è un foglio da timbrare e firmare in cui l'impresa che ha direttamente la commissione del lavoro, deve girare a ogni collaboratore in cui fa richiesta di questi documenti.
Poi un'altra in cui ciascuna impresa o artigiano timbra firma e dichiara di aver ricevuto tale richiesta.
Mi viene caldo. E nausea.
Ma quanti e quali imbecilli o furbi hanno studiato questa procedura?
C'è una ragione almeno piccola, lievemente sensata a cui poter dare un minimo di attenuante?
Ogni stramaledetto giorno per quanto mi sia dato all'auto-isolamento che posso, sento parlare e parlare e sbrodolare di crisi, di idee, di rilanci, di riforme di bla bla bla.
Purtroppo ho trascorso un'adolescenza agitata, ho commesso molti sbagli che sto ancora pagando in particolare nel mondo della scuola, ma riesco a trovare la forza di ringraziere per quelle due tre cose che ho imparato.
BISOGNA CHE TUTTO CAMBI PERCHE' TUTTO RESTI COME ERA.
Ma come cazzo fa uno a scrivere qualcosa di così sublime?!
In una frase è raccolta l'essenza dell'umanità. Di questo mondo di scimmie.
In una frase il tempo si ferma pur scorrendo. Orribilmente scorrendo. Evolvendo a ritroso come fosse una ruota per criceti che so.
Questo non è più il momento di mescolare. Dovremmo sentire urgente il bisogno di setacciare.
Quando ogni cosa è difficile e contorta e pretende sprechi di ogni forma, una crisi può offrire la fantastica opportunità di cambiare.
Il desiderio e l'impegno comune come fa a non essere quello di semplificare? Di dire basta? Di tagliare tutti gli inutili passaggi di mano che non servono e che anzi sottraggono e trattengono ognuno un po'. Un gran bel po'.
Io vivo in un mondo piccolo e sgraziato e di zero rilevanza. E lo so.
Così mi chiedo, se nel mio nulla un tetto disastrato si può rifare in pochi giorni con un certo costo, al quale va aggiunto un costo quasi del tutto inutile e ingiustificato e ingiustificabile, cosa mai accade nel mondo grande, pieno di presunta grazia e determinate per la vita di tutti?

Quanto sono numerosi i pensieri silenziosi.
Forti nel numero e arroganti.
Capaci di tutto!
In vita mia non ho mai combinato nulla di davvero buono.
Eppure ho superato armatori greci, ho avuto la meglio su capaci giornalisti, politici in ascesa, comici e conduttori. Abili imprenditori, produttori, donne avvenenti e in cariera.
E perfino camerieri e facchini.

La televisione è una nonna d'altri tempi.
Forse più idealizzata che reale... di quelle che ti fanno magistralmente addormentare con quella ninna nanna petulante, in cui le parole si stondano nella cantilena, perdono la loro gravità quando cresce l'abitudine al peggio e tutto si ovatta mentre gli occhi esitano e genialmente si abbandonano al sonno.
Nell'attento disinteresse e vittima della mia gola, ho inteso il viaggio di un giornalista per intervistare un tizio che pare essere tra le dieci persone più intelligenti d'america.
Ho provato a leggere la definizione d'intelligenza sul dizionario.
Credo di essere troppo poco intelligente per averla capita. O troppo intelligente per condividerla in pieno o anche solo arrivare a leggerla tutta.
Beh questo tizio qualunque sia la verità intelligente lo è di sicuro!
O dormivo molto o ero molto sveglio e vedevo questo signore esporre la sua teoria sull'universo spalando merda nelle stalle dei suoi animali.
Imballare fieno parlando del pensiero, dell'ampiezza piuttosto della sua profondità.
L'intelligenza mi ha incuriosito lo ammetto, la merda non mi manca, ma quello che mi ha più messo in difficoltà è la perfezione della serenità di questo signore.
Mentre il giornalista non faceva che ripetere, con la voce narrante, di quanto un tale genio si trovasse fuori posto, io lo trovavo fastidiosamente opportuno.
Uno sonno ricco il mio o una buona oretta sveglio stranamente spesa bene.
Rimuginavo su un tizio che a sei mesi formulava frasi di senso compiuto, a due leggeva da solo ed era cresciuto in una famiglia povera e numerosa e senza risorse, giungendo alla facile teoria del SE CI SEI  CI SEI E NULLA TI PREGIUDICA DI EMERGERE, e la più distruttiva IL DESTINO E' SCRITTO.
La ninna nanna infinita e le frasi fatte mi stavano cullando per bene, quando sento qualcosa che rimette tutto in gioco..
Il quoziente intellettivo di adulti afroamericani è mediamente inferiore ai bianchi di 17 punti.
Parte da 4 nei bambini piccoli, sale rapido a 9 nell'età delle elementari e degenera nell'adolescenza.
I miei pensieri si fottono come conigli.
Quanto incide una buona famiglia. Quanto incide la presenza. L'educazione.La prevenzione. La genetica. Il quartiere. La banda (il branco nostrano).
Si cambia? Si puo' cambiare? Si cambia esclusivamente in peggio? Cosa è decisivo in un cambiamento? La volontà? La figa? Un trauma?
Ci si può voltare? Tutto è potenzialmente un boomerang? E' più facile o difficile lanciarlo?
O cielo, ridammi la mia voce che per quanto brutta e detestabile ci posso riempire la bocca di stupidaggini e trovare solievo.

Mia mamma mi avrà detto un milione di volte che io ho tutti i difetti di tutta la famiglia.
Io ho detto spesso invece che non assomiglio a nessuno, che mi sento un alieno.
Ho rivisto questo pensiero, credo di assomigliare a molti, ma non sono uguale a nessuno.
Sono un orfano con genitori meravigliosi, figlio unico di troppo, incapace di partorire- spaventato- ma desideroso della maternità di un'intuizione. Mia mia mia.
Il possesso è castrante, e meritevole di sterilità.

Sono davvero geloso della mia solitudine.
Probabilmente lo sono tutti della propria, ma sarà che degli altri mi importa un cazzo, che il pensiero di scoprire di tanta intimità una fossa comune, mi da un fastidio enorme.
Non è un pensiero perseguibile che la diversità che hai imparato a considerare e rispettare e che per sopravvivere hai forgiato nell'illusione di una preziosa rarità, si manifesti con un seriale anonimato.

Piccoli, enormi, irrimediabili pensieri silenziosi.
Hanno il sopravvento.


lunedì 15 ottobre 2012

BATTITO D'ALI DI UN COLIBRI'

La differenza tra essere innamorati e amare,
è in quelle piccole silenziose farfalle nella pancia
che mutano in una furiosa mandria impazzita.

mercoledì 3 ottobre 2012

ANONIMO

Foglio ritrovato sugli scogli della Croazia o della Mesopotamia o sulle Ande ma si dice in un cassonetto.
Risalente al 1250 A.C. o secondo alcuni al 1600 D.C. se non addirittura al 2145 D.D.C (seconda venuta di Cristo).

Beh... l'amore mescola. L'amore confonde carte e anime. L'amore è un fuorilegge poco incline a obbedire.



ANONIMO

Sai amore mio, non ho niente di sensato da dirti ma un'incontenibile bisogno di restare in contatto.
E' qualcosa più della mancanza.
E' qualcosa di più sano della dipendenza.
Un egoismo vestito bene, vestito di niente. Nudo disinvolto.
Sono due o tre giorni che ti sento strana, qualcosa non va.
La tua risata ne parla al mio stomaco.
Guarda che è incredibile e sublime,come tanto troppo amore traboccante, ancora non sia abbastanza.
Questa mancata perfezione è il meglio assoluto a cui una creatura terrena possa ambire.
Neccessariamente senza ambire.
 

venerdì 10 agosto 2012

IL RITORNO DEL CAPITANO NEMO

Tratto dal libro mai scritto IL RITORNO DEL CAPITANO NEMO di Bastian La Fleur.

PRIMA PARTE.

Il mio nome è Pietro Melfi.
Non scomodatevi: non c'è ragione, il mio nome non vi dirà mai nulla di che.
Sono figlio illegittimo di Pierre Aronnax e come sopra immagino non si desti alcun interesse se non in qualche appassionato di storia e scienze naturale, dalla buona memoria.
Ma sono altrettanto convinto che riceverò tutta l'attenzione che vado cercando, quando affermerò e testimonierò di essere stato l'ultimo uomo ad incontrare e trascorrere ben cinque mesi come ospite dell'indomito capitano Nemo a bordo del leggendario Nautilus.


[...] Si dovrebbero educare i figli fin da molto piccoli alla pazienza.
Poiché la vita si mostra ai più come un inteRminabile fila, una coda lenta e noiosa.
Un'attesa estenuante spesso finalizzata al più deludente dei nulla.


[...] Da quel che avevo "rubato" dai giornali, i racconti  di mio padre su quanto aveva appreso dall'incontro con il capitano Nemo, furono dopo un breve entusiasmo, ferocemente messi in discussione.
Capita spesso che la verità non sia questione sostenibile.
Troppe le rivelazioni incredibili e fantastiche, al punto che i detrattori si trovarono in numero ben più consistente dei sostenitori, e il loro rumoroso brontolio diventò presto assordante.
Mio padre difese così fortemente le sue scoperte da risultare più un folle e un fanatico che un attendibile e rispettabile scienziato.
Quanta sofferenza si genere nell'incomprensione.
A nulla servirono le accorate dichiarazioni del caro Consel, il maggiordomo e molto altro, che aveva trascorso ogni singolo minuto al fianco di mio padre con una esemplare fedeltà.
Un uomo dall'animo così devoto che avrebbe certo giurato e spergiurato il falso senza esitare, pur di salvaguardare l'onorabilità del suo padrone.
Quanto al sostegno del marinaio Ned Land era perfettamente inutile farvi affidamento.
Si diceva che poco dopo il loro ritorno si fosse imbarcato fretta e furia, pagato profumatamente da un gruppo di privati che armò ben tre navi, con l'intento di inseguire e scovare il Nautilus e il suo capitano, pensando di recuperare molti dei tesori di cui avevano letto.
Ma dopo diversi infruttuosi mesi di navigazione in un immenso nulla, finì con l'essere ritenuto un volgare bugiardo e fu licenziato.
Poco dopo fu trovato morto, riverso in una sudicia bettola nelle Filippine, probabilmente accoltellato in una rissa.


[..] Cosa spinge un uomo pigro e dedito ad ogni sorta di vizio, ad avventurarsi in un'impresa le cui uniche certezze sono pericolo e privazioni?
Una sprovveduta curiosità!
Una morbosa ossessione per per quel che è sconosciuto e precluso all'uomo normale.
Stringevo tremando una lettera di poche righe, destinata a Pierre Aronnax o ai suoi eredi.
Quel padre che non avevo mai conosciuto, dal quale ero sempre fuggito più che potevo come se la distanza attenuasse la rabbia e il dolore, ora pareva lì a fissarmi con la sua eredità migliore.
Un padre che aveva saputo di me solo in punto di morte, quando mia madre avvertita da vecchi amici comuni, aveva sentito per la prima e unica volta, il bisogno di confessare la mia esistenza.
Ora quel padre si presentava a me come un fantasma, e nonostante la mia vita spesa in tutte le direzioni opposte, con questo invito tra le mani sentivo il figlio che scopre il padre in sè stesso e un imperdibile opportunità a cui non potevo dare ancora un nome.


[...] Un messaggio breve, urgente.
Una carta preziosa, bruciante tra le mani, con un rilienvo nel mezzo impercettibile alla vista ma evidente al tatto.
Scorrendo più e più volte con le dita su quei caratteri, provavo ben più che la sensazione di un cuore che batte impazzito... MOBILIS IN MOBILE,  e una grande N nel centro.


[...] Non ero mai stato un asso in matematica, ma non ci voleva un genio per capire che i conti non tornavano proprio.
L'uomo che vedevo di fronte a me godeva di un vigore raro anche per un uomo forte e giovane.
Il viso segnato ma lucido, la voce profonda intensa e perfetta.
Non poteva avere che tra i quaranta e cinquant'anni. No, nemmeno volendo.
Allora chi era quest'uomo?
Un impostore?
Un figlio? Un nipote?
Un folle visionario che aveva voluto realizzare l'ambizoso sogno di riportare in vita la figura leggendaria del capitano Nemo?



[...] Mi rendevo perfettamente conto di star tempestando di domande il capitano Nemo, ma accolto da un'inattesa disponibilità non riuscivo a fermarmi.
Benché in questo infantile modo di fare erano troppe le mie parole e inevitabilmente rare le sue.
Come un bambino alla scoperta di tutto, l'entusiasmo superava ogni inibizione e soggezione.
Ero rassicurato che non mentisse.
Come ogni buon impostore conosco la materia e i miei simili.
Anche i migliori imbroglioni scostano almeno per un attimo lo sguardo nel raccontare i loro inganni.
"Raccolgono" una storia in fretta e la propongono pur calmi ma senza un respiro, e quando si convincono che funziona si rilassano aggiungendo un gran numero di particolari a sostegno, ma per lo più non neccessari.
No! Il capitano Nemo non aggiungeva una sola sillaba più del dovuto, ma dava ad ogni parole una solenne dignità che mai avevo colto in nessuna delle molte bocche che in vita mia avevo udito.
E se anche fosse stato muto, avrei potuto dare ogni sorta di garanzia al suo solo sguardo.
Infilava per dritto i suoi occhi nei miei così intensamente da farmi provare fastidio.
Come i raggi del primo sole che trafiggono le stanze buie e ancora addormentate.


sabato 4 agosto 2012

LA CASA SULLA SCOGLIERA

Qualche giorno fa mi sono svegliato con questo pensiero nella testa.
DOVRESTI TROVARE UN POSTO DOVE COSTRUIRE UNA CASA, CHE ABBIA GRANDI FINESTRE E LA POSSIBILITA' DI GUARDARE ALBE E TRAMONTI.

Amo e odio quando mi succedeno queste cose.
Perché non ho il tempo di assecondarle e curarle ma la logorante voglia di farlo!
Così non mi salvo più e in ogni istante della giornata ci penso, e se non è qualcosa di nuovo è il ripetersi allo stremo di un pensiero da consolidare per paura che vada perso.
Le mie pause pranzo dalle 12.05 alle 12.45 sono le più intense del mondo: devo mangiare, fare la cacca e segnarmi gli appunti.
Senza entrare troppo nei dettagli alcune di queste funzioni sono costrette ad accavallarsi.

Non so perché ma più che il luogo, d'istinto ho costruito la casa.
Un rettango su un unico piano, semplicissimo.
Da poter girare su tutto il perimentro, con mezze pareti a scomparsa che scorrono e si aprono di stanza in stanza. Aprendo e chiudendo nascono e muoiono nuovi spazi.
Una casa che vive insomma... che muta. Come me.

Ampie finestre e porte finestre su tutti i lati, e inizialmente avevo pensato tranne che sulla parete della cucina soggiorno che avrei lasciato in cemento a vista trattato.


Una cosa così.
Gettato con casseri, trattato con resina.
Il cemento è un materiale che non amo ma che rispetto. Infondo che mi piaccia oppure no, è tra quelle cose che ha segnato la mia esistenza.
Però "costruendo" la mia casa, ho abbandonato l'idea.








Il legno è l'elemento.

Perché il legno?
Perché può morire fino in fondo.
Una casa in legno che brucia, non lascia nulla su cui piangere...
Sento che è un bene non legarsi troppo alle cose materiali, ogni volta che mi è successo ho patito inutili pene specie in occasioni in cui non c'è nulla che si possa fare.
Ogni legame troppo solido con le cose solide, porta più dolore che gioia.
Avere montagne di materie su cui piangere, dal primo all'ultimo frammento, è qualcosa che non fa più per me.
Il progetto della mia casa conporta anche questo. Un possibile piccolo mucchio di cenere da soffiare nel vento, che voli via ma senza portarsi me.



 Eccole! Ampie finestre generose di accogliere luce.














 Indicativamente una cosa simile, da fuori.
Lineare e semplice.












 Dai tratti netti e diretti.













Ma qualche accorgimento devo pur averlo.
Sull'esterno voglio una scala per accedere al tetto.
L'usura richiede l'impiego di un altro elemento che ha tutto il mio rispetto. Il ferro.



 Ma nel suo aspetto più vero.














Sul tetto serviranno dei pannelli solari e del verde per trattenere l'acqua e mantenere la casa più fresca certamente di qualche grado.


 Anche un orto volendo...















...  ma anche no.













Pavimento esterno.




















L'anima della casa stessa.
Il portico.
Il respiro pieno.



















E qui Il suo cuore.


La stanza segreta.
La sola chiusa agli occhi e ricavata nell'interno, al centro.
Accessibile da una porta a scomparsa anonima sulla parete di un bagno più piccolo.














Pochi giorni dopo il mio risveglio con quella cosa in testa, una sera mi siedo sul divano stanco morto e giro canali con il telecomando come fosse una ninna nanna nella breve attesa di crollare.
I miei occhi si fissano su un uomo che si alza dal letto, scorrono alcuni nomi: sta iniziando.
Riconosco Kevin Kline che mi piace, ma è molto poliedrico e non distinguo la natura del film.
Poi si alza in mutande, esce di casa e mi sembra di sentirne tutto il fresco del mattino. La casa è brutta e fatiscente e tracurata come lui. Ma è dritta sull'oceano e lui si avvicina al bordo e fa la pipi.

Beh cazzo... è già il mio film!

Se avessi il denaro, o il tempo, o infondo solo i coglioni, costruirei anche io la mia casa su una scogliera.
Per due ragioni che poi è una sola: poter sempre scegliere.

Scegliere in qualunque momento se gettarmi tra onde e scogli, o trascorrere ogni singolo giorno della mia vita fino all'ultimo compreso a guardare e ascoltare il mare e il sole compiersi.


sabato 14 luglio 2012

INSANA AUTOCRITICA




Può un uomo vivere senza la propria coscienza? NO!
(Notare che è la mia prima affermazione dritta e determinata di sempre).
Ma la coscienza può vivere senza l'uomo.
L'uomo può al più sopravvivere per inerzia, per abitudine, per complotto.
Un'esistenza imbottita di farmaco bugie auto-prescritte per una metastasi anziana.
Insomma ci sarà il tempo di morire di tutt'altro e mai della verità.

Ogni tanto sento parlare di SANA AUTOCRITICA.
Beh, mai cavato un accidente da una sana autocritica.
Quelli come me, ammesso e non concesso ne esistano altri, dalla roba sana non ottengono nulla.
Ci vuole una fottutissima INSANA AUTOCRITICA per smuovere qualcosa.
Non ci vuole una camminata, nè una camminata a passo svelto, ma una vera e propri corsa forsennata.
Non ci puoi mettere la punta del piede a vedere se è freddo. Ti ci devi buttare sapendo che è freddo, ma senza la minima tutela di quanto!

Quando andavo alle elementari, fin da piccolo per dire, non ho mai fatto quelle cose che per quanto stupide sono del tutto normali.
Se qualcuno inciampava o cadeva tutti ridevano. Io non solo non ridevo, nemmeno mi trattenevo. Non mi scappava proprio.
Capitava che qualcuno si cagasse addosso e la voce passasse rapida e silenziosa come un serpente, sempre più veloce sempre più grande sempre più rumorosa.
Io facevo finta di niente.
Ho un ricordo finto, perché me lo hanno rammentato così tante volte che alla fine mi sembra mio.
Era quasi primavera e nell'ora di motoria eravamo seduti a cerchio tutti e 24 alunni, con gli occhi chiusi e della musica in sottofondo. Dovevamo poi raccontare cosa avevamo immaginato. Tutti avevano corso e giocato e raccolto fiori in campi ricoperti di sole. Io avevo immaginato una baita in montagna sommersa dalla neve e un caldo fuoco all'interno. Avevo sette anni e la malizia di volermi per forza distinguere, non sapevo proprio cosa fosse.
Anche crescendo non ho mai partecipato a quei comuni atti di forza tra ragazzi. Quei gesti a sottomettere che tanto mi ricordano i documentari del bravo bravissimo Piero Angela.
La macchina che ho avuto e amato di più era una peugeot 205 1.6 benzina, antracite.
Una macchina da figo per uno che non era figo, non secondo i canoni convenzionali mondo mondiali almeno.
Tutte le volte che qualcuno saliva voleva sempre che corressi, che spingessi al massimo.
Mai!
Mai colto l'occasione di fare il coglione con la vita degli altri, nonostante la richiesta espressa e la delusione e le inevitabili sputtanate.
Tutto questo per dire cosa?
Che sono o ero speciale?
L'ho creduto. Talvolta altri mi hanno spinto e legittimato a crederlo.
Ma non è affatto così.
La verità non la so.
Quello che so è che ridere non ha mai fatto parte di me.
Divertirmi, non è tra le mie capacità.
Vedo tutti che lo fanno, anche gli adulti al parco acquatico svivolano e ci danno dentro come pazzi.
Odio non capire come accidenti facciano e sia possibile.
Perchè io no? Divertirsi è un comportamento e una reazione naturale giusto? Quindi allo stesso modo anche non farlo è qualcosa di naturale e non elaborato.
(Ps Odio le persone in gruppo. Odio l'acqua. Odio i parchi acquatici e in particolare i loro gestori ingordi).
Non ho maturato nel tempo traumi che mi hanno cambiato o segnato.
Ci sono nato con questo mal di vivere latente.
Ci sono cresciuto con questa sensazione di formicolio, di pezzo che manca, di fretta, di ansia nell'attesa di qualcosa che non c'è.
Ho indagato e non sono "maturo" o "speciale". Sono UN UOMO QUALUNQUE. (Vorrei fosse messo a verbale).

Oggi mi sono accorto che sono due giorni e mezzo che sul lavoro non scambio una parola.
Non lo sapevo, ho dovuto pensarci.
Non sono nè arrabbiato nè chissà che altro, è solo che non c'è stata occasione o motivo e uno fa quello che deve, lavora e poi fine.
Follia nella follia... nemmeno gli altri se ne sono accorti.

Così nell'insana benedetta autocritica ti riscopri a parlare con la tua coscienza disperata e stanca di te, molto più che con chiunque.
Eppure questo, per quanto bello e profondo, non basta.

Non si può chiedere a un'insana autocritica di avere anche logica.
Eppure c'è.
Ma poveretto il lettore. A lui non si deve chiedere nemmeno l'attezione. Figuriamoci altro.

Detesto gli innamorati.
Quelli vicini intendo.
Parassiti incapaci di produrre e creare.
Privi di stimoli e urgenze, debiti e scadenze da onorare.
E' già difficile distinguerli, stabilire con precisione dove finisce l'uno e comincia l'altro.
Due lazzaroni capaci di rinunciare a quanto di più essenziale come il mangiare.

Gli amori perfetti sono quelli separati e distanti.

Come la chiudo a dovere un'insana autocritica?
Se ci metto il finale viene una farsa, se pianto tutto e spengo è una merda ma almeno arriva che è sincera.
Il punto è tutto qui!
Guardarsi dentro fa schifo, perché ti tocca vedere che fai schifo.
Ti sei buttato trattenendo il respiro, scavando e scalciando per andare giù, più giù, e ancora.
Ma non hai fondo.
E quando scendi non è come in mare che è tutto più torbido e scuro. Dentro di te più vai e più vedi limpido e trasparente e così maledettamente lucende da non risparmiarti il più piccolo alone, le innumerevoli patacche.

Se non vuoi soffocare devi tornare su e in fretta, immergerti a fondo in quello che ti circonda, nella calda e rassicurante ignoranza, nei luoghi comuni, nella ninna nanna storbiante dei soliti gesti ripetuti.
Finchè i brividi passano, finchè il vomito passa.

Concludo con un VAFFANCULO. Direi che è l'ideale.

giovedì 5 luglio 2012

NON RESPIRO

Fa' che io canti presto
le cose che sei.
Fammi fermare il tempo
che danza tra noi.
Lascia che sia respiro
finché tu ci sei
il mio saluto al giorno
per non lasciarsi andare mai.

Io vorrei
che il mio viaggio
di gran vagabondo
finisse con te
e per noi
diventasse respiro
quell'esserci amati,
annullati, divisi,
rincorsi, appagati.

Voglio che sia respiro
l'amore tra noi
per non piegarsi dentro
per darsi di più.
Lascia che sia respiro
finché tu ci sei
il mio saluto al giorno
per non lasciarsi andare…


Io vorrei
che il mio viaggio
di gran vagabondo
finisse con te
e per noi
diventasse respiro
quell'esserci amati,
annullati, divisi,
rincorsi, appagati.

E vorrei
che ogni volta
che cerchi qualcosa
cercassi di me
e per noi
diventasse respiro
la nostra canzone
diventasse respiro
lo stesso ricordo
di noi.

Voglio che sia respiro
l'amore tra noi
per non piegarsi dentro
per darsi di più.
Lascia che sia respiro
finché tu ci sei
il mio saluto al giorno
per non lasciarsi andare mai.

Se non fossi dannatamente incapace avrei voluto inserire anche un video, perché anche se le parole sono tutto quel che c'è da capire, Franco Simone e quella sua voce sono un indubbio valore aggiunto.

Che cosa è un respiro?
Grazie allo sport ho compreso e imparato tutta la teoria possibile sulla respirazione, ma quanto alla pratica...
A volte mi accorgo di passare giorni interi senza un solo respiro.
Un'apnea che purtroppo e in modo preoccupante assume le sembianze della normalità.
Una non-normalità tollerata e disinvolta.
Eppure un respiro è qualcosa di meraviglioso.
Ma questo è anche più spaventoso! Come può diventare un'ambizione e a tratti un lusso, una cosa tanto semplice ed essenziale come il respiro?

Il respiro gode di varie forme e io le mortifico tutte quante!
Tipo il pianto. Il pianto è una delle espressioni più alte e intense del respiro.
E io mi ritrovo a piangere in macchina ma solo nel tratto che separa un semaforo da un altro per evitare gli altri automobilisti e l'incrocio dei loro sguardi.
Un pianto libero e sincero ma mutilato e umiliato scioccamente.
Beh, mai avrei pensato di dirlo, ma sia benedetto quel tizio che ha inventato le rotonde!

So che esistono insegnati della respirazione.
E darei tutto il mio stupore a questo se non fosse che so pure dell'esistenza di "studenti" di tali insegnati.
Ho sentito parlare della respirazione controllata, di quella fatta con la punta del naso, del controllo dell'aggressività ecc.
Penso che se fossi in una stanza climatizzata invece che su un tetto come in questi giorni, se avessi come sottofondo il cinguettio di uccellini invece dei rutti del mio collega, e magari un istruttrice fica equilibrata intelligente e vestita poco, riuscirei a respirare anche in punta di culo!
Si va bene... questa sera mi sono giocato il premio finezza, ma mi candido prepotente a quello della schiettezza.

Mio nonno è morto soffocato. O meglio ha ceduto il cuore come sempre accade, ma era forte e la sofferenza deve essere stata tremenda nelle interminabili crisi.
Acqua nei polmoni.
Anni di sigarette senza filtro sostituiti troppo tardi da anni senza, e gli ultimi con sempre più ore di ossigeno e bombole.
Cosa sarà sembrato a quest'uomo tanto silenzioso, respirare?
Sono in clamoroso ritardo nel porgli questa domanda. Peggio! Sono in clamoroso ritardo nel pormi questa domanda.

Non sono arrabbiato con me stesso, non lo sono nemmeno con il mondo come mi farebbe più comodo e come spesso mi piace fare.
In verità sono solo preoccupato e comunque lo preferisco al castrante dispiaciuto di cui abuso ampiamente per altre faccende.

Sono preoccupato perché la vita dovrebbe colmarsi di respiri e non di respiri mancati.
E il respiro come ogni cosa piena d'arte e bellezza, merita tutta l'ambiguità possibile.
Contendersi tra il diritto e il dovere, litigiosi innamorati. Da cui nasce il piacere...
Si, credo che sia questo respirare. Puro piacere povero.