Può un uomo vivere senza la propria coscienza? NO!
(Notare che è la mia prima affermazione dritta e determinata di sempre).
Ma la coscienza può vivere senza l'uomo.
L'uomo può al più sopravvivere per inerzia, per abitudine, per complotto.
Un'esistenza imbottita di farmaco bugie auto-prescritte per una metastasi anziana.
Insomma ci sarà il tempo di morire di tutt'altro e mai della verità.
Ogni tanto sento parlare di SANA AUTOCRITICA.
Beh, mai cavato un accidente da una sana autocritica.
Quelli come me, ammesso e non concesso ne esistano altri, dalla roba sana non ottengono nulla.
Ci vuole una fottutissima INSANA AUTOCRITICA per smuovere qualcosa.
Non ci vuole una camminata, nè una camminata a passo svelto, ma una vera e propri corsa forsennata.
Non ci puoi mettere la punta del piede a vedere se è freddo. Ti ci devi buttare sapendo che è freddo, ma senza la minima tutela di quanto!
Quando andavo alle elementari, fin da piccolo per dire, non ho mai fatto quelle cose che per quanto stupide sono del tutto normali.
Se qualcuno inciampava o cadeva tutti ridevano. Io non solo non ridevo, nemmeno mi trattenevo. Non mi scappava proprio.
Capitava che qualcuno si cagasse addosso e la voce passasse rapida e silenziosa come un serpente, sempre più veloce sempre più grande sempre più rumorosa.
Io facevo finta di niente.
Ho un ricordo finto, perché me lo hanno rammentato così tante volte che alla fine mi sembra mio.
Era quasi primavera e nell'ora di motoria eravamo seduti a cerchio tutti e 24 alunni, con gli occhi chiusi e della musica in sottofondo. Dovevamo poi raccontare cosa avevamo immaginato. Tutti avevano corso e giocato e raccolto fiori in campi ricoperti di sole. Io avevo immaginato una baita in montagna sommersa dalla neve e un caldo fuoco all'interno. Avevo sette anni e la malizia di volermi per forza distinguere, non sapevo proprio cosa fosse.
Anche crescendo non ho mai partecipato a quei comuni atti di forza tra ragazzi. Quei gesti a sottomettere che tanto mi ricordano i documentari del bravo bravissimo Piero Angela.
La macchina che ho avuto e amato di più era una peugeot 205 1.6 benzina, antracite.
Una macchina da figo per uno che non era figo, non secondo i canoni convenzionali mondo mondiali almeno.
Tutte le volte che qualcuno saliva voleva sempre che corressi, che spingessi al massimo.
Mai!
Mai colto l'occasione di fare il coglione con la vita degli altri, nonostante la richiesta espressa e la delusione e le inevitabili sputtanate.
Tutto questo per dire cosa?
Che sono o ero speciale?
L'ho creduto. Talvolta altri mi hanno spinto e legittimato a crederlo.
Ma non è affatto così.
La verità non la so.
Quello che so è che ridere non ha mai fatto parte di me.
Divertirmi, non è tra le mie capacità.
Vedo tutti che lo fanno, anche gli adulti al parco acquatico svivolano e ci danno dentro come pazzi.
Odio non capire come accidenti facciano e sia possibile.
Perchè io no? Divertirsi è un comportamento e una reazione naturale giusto? Quindi allo stesso modo anche non farlo è qualcosa di naturale e non elaborato.
(Ps Odio le persone in gruppo. Odio l'acqua. Odio i parchi acquatici e in particolare i loro gestori ingordi).
Non ho maturato nel tempo traumi che mi hanno cambiato o segnato.
Ci sono nato con questo mal di vivere latente.
Ci sono cresciuto con questa sensazione di formicolio, di pezzo che manca, di fretta, di ansia nell'attesa di qualcosa che non c'è.
Ho indagato e non sono "maturo" o "speciale". Sono UN UOMO QUALUNQUE. (Vorrei fosse messo a verbale).
Oggi mi sono accorto che sono due giorni e mezzo che sul lavoro non scambio una parola.
Non lo sapevo, ho dovuto pensarci.
Non sono nè arrabbiato nè chissà che altro, è solo che non c'è stata occasione o motivo e uno fa quello che deve, lavora e poi fine.
Follia nella follia... nemmeno gli altri se ne sono accorti.
Così nell'insana benedetta autocritica ti riscopri a parlare con la tua coscienza disperata e stanca di te, molto più che con chiunque.
Eppure questo, per quanto bello e profondo, non basta.
Non si può chiedere a un'insana autocritica di avere anche logica.
Eppure c'è.
Ma poveretto il lettore. A lui non si deve chiedere nemmeno l'attezione. Figuriamoci altro.
Detesto gli innamorati.
Quelli vicini intendo.
Parassiti incapaci di produrre e creare.
Privi di stimoli e urgenze, debiti e scadenze da onorare.
E' già difficile distinguerli, stabilire con precisione dove finisce l'uno e comincia l'altro.
Due lazzaroni capaci di rinunciare a quanto di più essenziale come il mangiare.
Gli amori perfetti sono quelli separati e distanti.
Come la chiudo a dovere un'insana autocritica?
Se ci metto il finale viene una farsa, se pianto tutto e spengo è una merda ma almeno arriva che è sincera.
Il punto è tutto qui!
Guardarsi dentro fa schifo, perché ti tocca vedere che fai schifo.
Ti sei buttato trattenendo il respiro, scavando e scalciando per andare giù, più giù, e ancora.
Ma non hai fondo.
E quando scendi non è come in mare che è tutto più torbido e scuro. Dentro di te più vai e più vedi limpido e trasparente e così maledettamente lucende da non risparmiarti il più piccolo alone, le innumerevoli patacche.
Se non vuoi soffocare devi tornare su e in fretta, immergerti a fondo in quello che ti circonda, nella calda e rassicurante ignoranza, nei luoghi comuni, nella ninna nanna storbiante dei soliti gesti ripetuti.
Finchè i brividi passano, finchè il vomito passa.
Concludo con un VAFFANCULO. Direi che è l'ideale.