Questa mattina ero seduto accanto a mio papà che guidava.
Stavo intento come sempre a farmi largo tra i pensieri che mi affollano la testa.
Improvvisamente mi dice: "Guarda il tetto di quella casa, il terzo coppo sulla destra in gronda si è spostato, l'acqua così scavalca il pluviale e bagna tutto il muro. Non piove da una vita e guarda quanto ancora c'è umido.
Mentre lo ascolto mi guardo in giro, e si, mi rendo conto che lì c'è una casa.
Amo mio papà, la sua profonda semplicità, la sua timidezza nascosta tra poche parole e tanti sorrisi.
Non è facile essere figli di uomini così. Per quanto ti sforzi, per quanto ci provi non arrivi mai a sfiorarne la grandezza.
Caro papà, so di non essere il figlio sperato anche se mai ti sei permesso di dirlo.
Ma forse non siamo così distanti, forse ho solo un modo diverso e mio, d'essere come te.
Non ho visto quel coppo spostato, non ho percepito il senso del tuo istinto per il tuo lavoro. La tua passione.
Ma nel rendermi conto che una casa era lì, ho visto quella piccola signora alla finestra. Piccola perché spuntava appena dal davanzale. Una signora curiosa e sola, almeno immagino per via di quelle tende tenute spostate per guardare più in fretta in una strada a senso unico da cui non credo passino poi tante persone.
E forse aspetta, tremendamente aspetta.
Magari un figlio che non viene mai a trovarla. Può darsi che sbaglio, ma la via piena di foglie e carte mentre sotto la finestra c'è un posto auto pulito, una scopa fissa come una sentinella, un cartello con divieto di sosta, mi dicono altro.
Guardo il mio papà, sorrido, e torno ad affogarmi nel mare immenso dei miei pensieri.
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