giovedì 29 marzo 2012

ESILIO


 
DEDICATO ad alcuni dei mille uomini che più mi illuminano e oscurano. Esiliati o auto-esiliati. Dante Alighieri, Hasan Atiya Al Nassar, Napoleone, Bertolt Brecht, Domenico Cimarosa, Albert Einstein, Ugo Foscolo, Sigmund Freud, Garibaldi, Victor Hugo, Milan Kundera, Thomas Mann, Ferdinand Marcos, Karl Marx, Giuseppe Mazzini, Pablo Neruda, Seneca, Cicerone, Ovidio.


 Essere in esilio significa stare lontano dalla propria casa (vale a dire città, stato o nazione) a causa dell'esplicito rifiuto del permesso di farvi ritorno, o sotto la minaccia di essere imprigionato o giustiziato in caso di ritorno. ( Grazie WIKIPEDIA come sempre ).

La prima cosa che la parola esilio mi fa venire in mente è che per essere tale, una terra devi pur averla. 
Una terra che ami, a cui senti di appartenere.
L'esiliato non vive bene, ma può permettersi di cullare un sentimento ricco e pieno come la nostalgia.

Ho provato, in particolare da ragazzino, un forte senso di colpa per l'incapacità di trovare "il mio posto".
Pensavo che tutto dipendesse unicamente da me, e questo credo ancora sia vero ma non ci sto più col sentirsi in colpa.
Era un disagio intimo e difficile- proibitivo definirne i tratti. Ma sapevo camuffarlo bene fingendo mentendo di riuscire a stare dappertutto.
Ma non ho mai considerato questo come un merito, niente affatto.

Quello che oggi considero un merito è riuscire ad ammettere l'impossibilità di trovare questo benedetto "proprio posto" e vivere senza stare bene da nessuna parte, piuttosto che sopravvivere ovunque. 


Ho perso l'abitudine ma non la voglia di guardare il cielo, di osservare le nuvole, di ambire le stelle.
Chissà.
Chissà che non sia qui il mio esilio e la mia terra tanto lontana da averne smarrito in buona parte il ricordo.


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